La caduta verticale dei prezzi del petrolio non ha precedenti. Una situazione talmente complessa da rendere difficile le previsioni per il mercato dell’oro nero, la cui dinamica assume un aspetto non trascurabile per l’economia globale. Marco Piersimoni, Senior Investment Manager di Pictet Asset Management ha cercato di fare chiarezza su quanto sta effettivamente succedendo partendo dal fatto che il lockdown adottato per frenare la pandemia da coronavirus ha determinato, tra gli altri effetti, un brusco calo della domanda di petrolio.
STIME AL RIBASSO PER LA DOMANDA DI GREGGIO
Si stima che nei mesi di aprile e maggio, la domanda possa ridursi di 20 milioni di barili al giorno (mmbpd) rispetto a un anno fa (pari al -20% su base annua), mentre la contrazione media per quest’anno potrebbe aggirarsi intorno ai 9 mmbpd. Ma c’è di più. Se le stime del Fondo Monetario Internazionale venissero confermate (-3% del PIL mondiale nel 2020) la situazione diverrebbe ancora più critica con la domanda in ulteriore contrazione. L’offerta non ha l’elasticità necessaria ad adeguarsi a questo scenario dal momento che molti paesi, con la sola eccezione dell’Arabia Saudita, non hanno la facoltà di ridurre ed aumentare la produzione a costi inferiori. Anche l’accordo raggiunto dai Paesi membri dell’Opec+, che li impegna a ridurre la produzione da maggio per 9,7 mmbpb, sembra insufficiente a stabilizzare i prezzi del greggio.
LE VARIABILI SUL FRONTE DELL’OFFERTA
A complicare ulteriormente le cose emergono due variabili sul fronte dell’offerta, potenzialmente di impatto opposto. Da un lato, il crollo del prezzo del petrolio comporterà blocchi della produzione, soprattutto in alcuni impianti di Stati Uniti e Canada. Se tali blocchi si protraessero nel tempo, potrebbero causare degli enormi danni strutturali nel medio/lungo termine. ”Infatti, riattivare un impianto dopo mesi o anni di inattività, è possibile ma complicato ed estremamente oneroso: nel momento in cui la domanda mondiale dovesse tornare ai suoi livelli normali, potremmo dover fare i conti con una crisi lato offerta”, puntualizza Piersimoni. La seconda variabile da analizzare è la produzione di petrolio congelata o per sanzioni internazionali (nel caso di Iran e Venezuela) o per guerre civili (Libia) che potrebbe rientrare sul mercato generando ulteriore pressione all’offerta globale.
C’È TEMPO UN PAIO DI MESI PER EVITARE IL COLLASSO DEL MERCATO
“Guardando avanti, il collasso definitivo del mercato potrà essere evitato fino a quando i depositi per lo stoccaggio del petrolio non verranno completamente riempiti e questo potrebbe richiedere non più di un paio di mesi”, fa sapere Piersimoni. Secondo il quale questo è l’arco di tempo nel quale la domanda globale deve riuscire a riprendersi per sperare di stabilizzare i prezzi del petrolio. In quest’ottica la dinamica della Cina è fondamentale.
RIFLETTORI SULLA CINA
Il Paese, il primo da cui è scaturita la crisi, è anche il primo ad uscire dall’emergenza sanitaria e a provare a ripartire. Mentre già adesso la domanda di greggio proveniente da Pechino è in netta risalita, contribuendo a stabilizzare le quotazioni, si stima che possa tornare in territorio positivo su base annua da agosto in poi. Inoltre diversi indizi (come il fatto che la richiesta di prodotti derivati dal petrolio rimanga contenuta) fanno supporre che il colosso asiatico stia approfittando degli attuali prezzi a sconto per costruire massicce riserve di petrolio. “La Cina, insieme all’Arabia Saudita, è infatti uno dei pochi Paesi al mondo di cui la reale capacità di stoccaggio non è nota, dal momento che utilizza per gran parte depositi sotterranei, non tracciabili tramite satelliti”, conclude Piersimoni.
Articolo a cura di financilaounge.com
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