Le commissioni di performance vengono addebitate agli investitori in seguito a buone performance. Perciò sono considerate eticamente giustificate al motto di: “Ho pagato perché ho guadagnato”.
La verità è che, per lo più, le commissioni di performance (note anche come commissioni d’incentivo o performance fees) non sono capite: possono essere punitive ed arrivare a divorare ingiustificatamente porzioni sostanziose dei vostri investimenti. Perché ciò avvenga basta adottare l’opportuno deleterio meccanismo di calcolo.
In pratica, questi sono i punti salienti:
controllate se e come sono calcolate le commissioni di performance;
ovviamente, più sono basse, meglio è per voi;
più rischio viene assunto da chi gestisce il fondo, più è probabile che paghiate commissioni di performance;
più breve è il periodo di reset, più commissioni pagate e più dovreste diffidare del prodotto, a meno che non amiate sperperare i vostri risparmi;
per i fondi di diritto italiano, Banca d’Italia fissa alcuni paletti a tutela dei risparmiatori, incluso il periodo di reset minimo pari a un anno;
per i fondi di diritto estero (i cosidetti fondi “estero-vestiti”, ad esempio domiciliati in Irlanda e Lussemburgo), sono invece possibili anche reset mensili o trimestrali; quindi attenzione;
tra i metodi più diffusi di calcolo l’HWM è il migliore, cioè il più equo (ma occhio, alcuni operatori attuano il reset periodico, azzerando il contatore della performance – in tal caso, in media pagherete di più);
con le commissioni relative, fate attenzione che il parametro di riferimento (benchmark) non sia una presa in giro;
la storia che “le commissioni di performance sono etiche” è una balla notevole; invece queste commissioni favoriscono il moral hazard, ossia l’assunzione di rischio a spese del cliente, e spesso vengono pagate senza una reale ragione – se vi dicono che non è vero, stendeteli dicendo che è tutto dimostrabile utilizzando la diseguaglianza di Jensen. E poi vediamo.
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